“Dal punto di vista tecnologico, l’iMac non costituiva un
cambiamento radicale rispetto al passato. Ma, lavorando gomito a gomito con
Jobs, Ive ideò un’estetica che, per la prima volta dopo anni, dotava un
computer di una certa individualità. L’iMac aveva un involucro spettacolarmente
arrotondato, fatto di un materiale simile a quello dell’eMate. Attraverso il
suo guscio in plastica semitrasparente «blu Bondi» (nome che allude alle acque
tropicali di Bondi Beach, vicino a Sydney), l'utente poteva vedere i componenti
interni, i cavi meticolosamente ordinati e le schede dei circuiti piene di
chip, che sembravano mappe di città in 3D. Il computer e il monitor erano
alloggiati in un unico modulo di forma globulare, con un portello circolare sul
retro che permetteva l’accesso all’interno per riparazioni o modifiche e
fungeva anche da maniglia. Steve amava la maniglia nonostante la sua scarsa
praticità, perché era un ritorno al primo Mac. La macchina pesava più di
diciassette chili, quindi era inverosimile che la si trattasse davvero come un
laptop da portarsi dietro spostandosi da uno spazio di lavoro ad un altro. Ma
la combinazione di maniglia, forma e traslucidità faceva sembrare l’iMac una
divertente bottiglia blu. Era esattamente quel genere di nuovo, straordinario
prodotto che gli serviva per differenziare i dispositivi della Apple dalla
truppa di scatole sfornate da Dell, Compaq, HP e IBM.”
Sperling & Kupfer, 2015.
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