mercoledì 30 novembre 2016

Step 11 - Un documento del Blu Bondi

“Dal punto di vista tecnologico, l’iMac non costituiva un cambiamento radicale rispetto al passato. Ma, lavorando gomito a gomito con Jobs, Ive ideò un’estetica che, per la prima volta dopo anni, dotava un computer di una certa individualità. L’iMac aveva un involucro spettacolarmente arrotondato, fatto di un materiale simile a quello dell’eMate. Attraverso il suo guscio in plastica semitrasparente «blu Bondi» (nome che allude alle acque tropicali di Bondi Beach, vicino a Sydney), l'utente poteva vedere i componenti interni, i cavi meticolosamente ordinati e le schede dei circuiti piene di chip, che sembravano mappe di città in 3D. Il computer e il monitor erano alloggiati in un unico modulo di forma globulare, con un portello circolare sul retro che permetteva l’accesso all’interno per riparazioni o modifiche e fungeva anche da maniglia. Steve amava la maniglia nonostante la sua scarsa praticità, perché era un ritorno al primo Mac. La macchina pesava più di diciassette chili, quindi era inverosimile che la si trattasse davvero come un laptop da portarsi dietro spostandosi da uno spazio di lavoro ad un altro. Ma la combinazione di maniglia, forma e traslucidità faceva sembrare l’iMac una divertente bottiglia blu. Era esattamente quel genere di nuovo, straordinario prodotto che gli serviva per differenziare i dispositivi della Apple dalla truppa di scatole sfornate da Dell, Compaq, HP e IBM.”

                                                   in Brent Schlender, Rick Tetzeli (traduzione di P. Lucca), 
                                                                    Steve Jobs confidential,
                                                                    Sperling & Kupfer, 2015. 
                            

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